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Domenica XXXII - Dieci ragazze, il corteo e la festa

“Il Regno dei Cieli” per Gesù è il mondo alternativo e non continuativo di questa esistenza terrena. Il Vangelo di Oggi dice che questo Regno è simile ad un banchetto di festa: chi vi partecipa e chi ne rimane escluso?

Dieci ragazze, donne non ancora sposate, presero le loro torce che si usavano fuori di notte per andare incontro allo sposo, per la festa di nozze. “Cinque erano pazze” nel senso inteso da Gesù anche altrove (chi avrà detto pazzo a suo fratello è meritevole della Geenna” (Mt 5,22b),  e cinque sagge (nel senso in cui Gesù definisce colui che edifica la sua casa sulla roccia).

Insomma, c’è che accoglie il suo messaggio e lo mette in pratica, ed è simile a chi costruisce la propria esistenza su valori solidi come la roccia; e si sono dei “Pazzi”, quelli cioè che ascoltano e non praticano, paragonati a degli insensati che costruiscono la loro casa sulla sabbia. (Mt 7,26-27). 

“Poiché lo sposo tardava si assopirono tutte e si addormentarono”. In quel frangente nessuna di loro “vigilava”. Quindi, qui non si parla tanto di vigilanza in attesa dello sposo, ma della capacità e delle condizioni necessarie per essere riconosciute ed accolte al banchetto di festa. All’arrivo dello sposo, le 5 stolte dicono alle sagge: «Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono»”. L’olio di cui qui si parla è qualcosa che non si può prestare, né condividere ma è qualcosa che tutti possono e devono avere. 

La risposta negativa delle sagge significa che questo olio è qualcosa che somiglia allo stile di vita dei credenti e non a qualcosa che si possa interscambiare.

L’invocazione sulle loro labbra: “Signore, Signore” è la stessa di quanti dicono: “Signore, Signore””, ma non fanno la volontà di Dio nella loro vita (Mt 7,21). Non basta pertanto una  un’adesione formale a Gesù, un entusiasmo momentaneo per lui, bisogna invece che questa “dichiarazione” si traduca in sequela e in azioni di vita.

Infine, le parole “in verità vi dico: non vi conosco»”, non sono rivolte soltanto a queste cinque ragazze “stolte” ma sono dette ai costruttori del nulla, a quelli che dicono e non fanno…  Chi non ricorda l’invito di Cristo: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”? (Mat. 5, 16)  Le “stupide” mancano dell’olio che serve a tenere accese le loro lampade mentre le sagge lo possedevano. Cos’è quest’olio

Sono le opere buone, anche quelle compiute senza nemmeno avvedersene, tanto è connaturale a chi ha la luce far luce agli altri. Con queste opere buone si comunica vita agli altri. Mi aiuta Dante ad esprimere questo concetto:

Facesti come quei che va di notte,

che porta il lume dietro e sé non giova,

ma dopo sé fa le persone dotte.

(Purgatorio, XXII, 67-69)

Gesù riconosce soltanto chi, come lui, ha fatto della propria vita un dono d’amore affinché gli altri abbiano vita.

 

Domenica XXXI: le beatitudini

“Beati i poveri in spirito…beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.“ Beati, cioè felici, fortunati, ma non ai nostri occhi, bensì allo sguardo di Dio! Perché? 

Perché Colui che ha tutto in mano si compiace di soccorrere e ricolmare il “vuoto” di chi confida in Lui. Pertanto noi, piccoli e poveri di spirito agli occhi del Signore, ci sentiamo incoraggiati dalla sua stessa voce che sussurra al nostro cuore: dài, avanti voi miei figli, in alto i cuori, in cammino…! Io Sono con voi, su, dritta la schiena, non arrendetevi…

Questa è la bella notizia: Dio è pronto a difenderci, Egli non ama il dolore, ma nel dolore è con noi! Quando la tempesta arriverà lui sarà con te, al tuo fianco, forza della tua forza. 

Ecco, quindi il nostro Dio non è imparziale, ha un debole per i deboli. Gli occhi di Dio vedono diversamente da come vedono i nostri occhi.

“Dio ha scelto ciò che è stolto per il mondo per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che è ignobile e disprezzato per il mondo, ciò che è nulla, per ridurre al nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28). 

Le beatitudini sono un insegnamentosul senso della vita terrena ed eterna.  Gesù comunica ai discepoli e ai credenti ciò che Lui ha vissuto, elaborato interiormente, perciò nel suo insegnamento ci indica una via da seguire, il cammino della felicità, dell’essenziale. 

Ma le beatitudini sono anche promessa di felicità, invito alla bellezza, a fare della propria vita un capolavoro. La vita, le nostre stesse esperienze sono le nostre “maestre” e noi possiamo imparare anche dalle realtà dolorose, contrastanti e frammentarie, della nostra esistenza, come lo è stato per Gesù. 

 

Le BEATITUDINI

 

FESTA DI TUTTI I SANTI - Domenica XXXI: le beatitudini

“Beati i poveri in spirito…beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.“

Sono beati, cioè felici, fortunati allo sguardo di Dio, non automaticamente ai nostri occhi! Perché?

Perché Colui che ha tutto in mano si compiace di soccorrere e ricolmare il “vuoto” di chi confida in Lui. Per questo noi, piccoli e poveri di spirito, agli occhi del Signore, ci sentiamo incoraggiati dalla sua voce che sussurra al nostro cuore: dài, miei figli, avanti, in alto i cuori, in cammino…! Io Sono con voi, su, dritta la schiena, non arrendetevi…

Questa è la bella notizia: Dio è pronto a difenderci, Egli non ama il dolore, ma pur nel dolore è con noi! Quando la tempesta arriverà lui sarà con te, al tuo fianco, forza della tua forza. Ecco, quindi, il nostro Dio ha un debole per i deboli. I suoi occhi vedono diversamente e più profondamente di come vedono i nostri occhi.

“Dio ha scelto ciò che è stolto per il mondo per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che è ignobile e disprezzato per il mondo, ciò che è nulla, per ridurre al nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28).

Le beatitudini sono un insegnamento sul senso della vita terrena ed eterna.

Gesù confida – cuore a cuore - ai discepoli e ai credenti di ogni tempo ciò che Lui stesso ha vissuto, elaborato interiormente, e nel suo insegnamento ci indica la via da seguire, il cammino della felicità, l’essenziale.

Ma le beatitudini sono anche promessa di felicità, invito alla bellezza, sollecitazione a fare della propria vita un capolavoro. La vita, le nostre esperienze ci insegnano tanto e noi - come lo è stato per Gesù - dalle realtà dolorose, contrastanti e frammentarie della nostra esistenza possiamo imparare a vivere da figli di Dio, in quanto: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" (Dante, Inferno, canto XXVI). Questa è la vera ragione dell'esistenza umana.

 

DOMENICA XXX:  Qual è il più grande comandamento

La Parola di questa domenica fa balzare alla nostra attenzione innanzitutto il forestiero che, per sfuggire a persecuzioni o ad altre avversità, è arrivato fra noi, spesso senza gli stessi diritti dei residenti.

Per questo Dio, in modo insistente, comanda di trattarlo come colui che è nato fra voi, di amarlo come te stesso (Lv 19,34), di dargli pane e vestito (Dt 10,18) e maledice chi lede il diritto del forestiero, dell'orfano e della vedova (Dt 24,17. 27,19), i più poveri di quel tempo.

L’invito, l’esortazione, il comando evangelico di oggi “Amerai...” è allora un comandamento, un imperativo che esige uno stile di vita basato sull’amore verso tutti. Amerai senza riserve, senza sconti, senza rimandi, amerai donando quanto di buono e di bello c'è in te. Amerai Dio, l'altro e te stesso! (Matteo 22,34-40)

Il comandamento dell'amore è definito da Gesù il più grande ed il primo. Ma la vera novità che le parole di Cristo rivelano è la frase «il secondo è simile al primo» e questo contiene ed esprime l'assoluta novità dell'annuncio cristiano.

Della nostra vita dovremo rendere conto soprattutto di come e quanto avremo amato: cerchiamo di non sprecare nessuna occasione d’amore e di servizio a Dio e al prossimo, di non perderci dietro a illusioni o false sicurezze, dietro a passeggere felicità ma piuttosto “sforziamoci e lottiamo”  seriamente per vivere la comunione fra di noi, la solidarietà, l'apertura agli altri, la speranza nel Signore, la preghiera... e tante altre cose “belle”….

   

Domenica 4 ottobre: San Petronio (in Bologna)

Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti; per mettere, per dare agli afflitti di Sion un diadema invece di cenere, olio di gioia invece di dolore, il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto. (ISAIA 61, 1-3)

Isaia ci consegna la sua esperienza più intima, quella dell'essere abitato dallo Spirito del Signore. “Lo Spirito del Signore è su di me”. Questa esperienza trasforma la sua persona, rendendola proprietà del Signore, luogo dove Dio si manifesta: ”Mi ha consacrato con l'unzione”, in vista di una missione ben precisa, ”mi ha mandato”.

  1. Sono descritte sette finalità, di cui la prima “portare una buona notizia ai poveri) riassume la missione propria del profeta

Chi sono i poveri/miseri? Tutte le persone prive di potere politico, di prestigio sociale, di risorse materiali, e che hanno invece come unico sostegno il Signore, a cui si abbandonano fiduciosamente. SEI TU SIGNORE L’UNICO MIO BENE! La BUONA NOTIZIA riguarda una comunità che ha come unico bene il Signore e che sperimenta le dolorose ferite della sua storia, “cuori spezzati”.

La missione del profeta è quella di aiutare il popolo a ritrovare la sua identità, la sua libertà, senza lasciarsi schiacciare dall'oppressione, dalla frustrazione profonda.

Dio non si è dimenticato di loro, ma neppure di noi, oggi, e di quanti in Lui confidano. Dio promette e dona un tempo di gioia piena, di esultanza incontenibile, perché è finito il tempo della desolazione e dell'afflizione. Il vero profeta – anche oggi - è colui che sa attirare lo sguardo degli altri su ciò che Dio sta compiendo giorno dopo giorno, sapendo e ricordando agli altri che per far crescere tutte le cose ci vuole tempo.

Quanto sono belle queste parole! Quanto ha bisogno il nostro mondo di una buona notizia come questa. Noi dobbiamo fare di tutto e di più per ottenere un po’ di consolazione, di gioia, di pace, e di libertà.

Insomma, con il Signore prepariamo ed affrettiamo la crescita di un mondo nuovo, di una nuova umanità, purificata da ogni corruzione, ripristinata a immagine di Dio, ma solo grazie a LUI!

 

La parabola del Sì e del No…

XXVI Domenica

Credo che l’idea che uno si fa di Dio condizioni il suo comportamento pratico, sia nei confronti del Signore che nei suoi rapporti col prossimo. 

I due figli della parabola odierna hanno un comportamento diverso nei confronti del padre, perché ognuno di loro lo vede e lo sente in un certo modo: uno dice «sì», a parole ma si prende gioco del padre, l’altro dice un momentaneo «no», ma poi fa quello che il padre gli ha chiesto.

Non chi dice “Signore, Signore….” tante volte, con la bocca, ma chi fa la volontà di Dio questi lo ama. Le parole non bastano… devono essere accompagnate dai fatti: “eccomi, io vengo, sono qui, per fare la tua volontà, Signore”

Bisogna che ci guardiamo in questo specchio, soprattutto noi battezzati di vecchia data, perché rischiamo di avere un’amara sorpresa nel vedere  pubblicani e meretrici che ci precederanno nel regno dei cieli”. Questi, almeno ogni tanto, come ai tempi del Battista – sanno cogliere l’attimo favorevole e “si convertono” portando buoni frutti nella propria vita mentre tanti credenti a parole, come dice il libro dell'Apocalisse, non entreranno nel Regno perché Dio ha disgusto degli uomini tiepidi, che non sono né freddi né caldi (3,16). 

Gesù ci ricorda oggi che l'obbedienza della fede si esprime attraverso gesti concreti, e non semplicemente attraverso dei «sì» a parole. «Fare la volontà del Padre» non significa stare fermi, ripetere tante belle preghiere in buona coscienza, ma piuttosto pentirsi dei propri indugi e rimandi ed imparare a lavorare nella vigna del Signore.

I due figli sono diversi per risposta e per comportamento. Essi rappresentano emblematicamente due tipi di risposta alla chiamata di Dio, in uno c’è l’assenso puramente verbale che non passa all’azione e nell’altro l’adesione operativa pur preceduta dal “non ne ho voglia” iniziale, detto con la bocca.

Il vero cristiano sa operare l’integrazione fede-vita. Il «sì» della sua fede diventa il «sì» della sua vita; azione e gesto del suo operare. 

La discriminante tra il «sì» e il «no» è nella nostra vita pratica e non nelle parole. Siamo chiamati ad essere e porci nella giusta relazione con Dio, imparando a fare la sua volontà nella quale è la nostra pace.

   

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