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S. Benedetto

Marco 6,7-13 

Gesù percorre i villaggi d’intorno per predicare la buona notizia (cf. Mc 6,6) in modo instancabile, a un certo momento decide di allargare questo “servizio della parola” anche ai Dodici. Questi versetti descrivono gli apostoli che, pur rimanendo discepoli, diventano maestri e portatori della Parola alla gente che vuole essere salvata. E’ il momento della missione, nuova tappa del loro cammino di sequela del Cristo.

La missione non è qualcosa che si aggiunge alla chiamata: ne fa parte sin dall'inizio.

Per esempio il profeta Amos (prima lettura): era un semplice pastore, che il Signore, senza il minimo preavviso «prende» e manda a profetizzare al suo popolo (Am 7,14-15). Gli dice Dio: «Va'...», senza lasciare al chiamato troppo tempo per meditarci sopra...

I Dodici sono inviati «a due a due», partono in coppia, non ognuno per conto proprio. In COPPIA perché il loro zelo cresca e si sviluppi anche la correzione reciproca e la crescita vicendevole. Due persone formano già una piccola comunità (cfr. Mt 18,20), ove è possibile vivere la relazione, la condivisione, il mutuo affetto e il sostegno reciproco.

-Stile dei missionari sarà quello di andare 'nudi' e 'leggeri', consci di non avere nulla da offrire se non la parola di Gesù e il suo potere contro lo spirito del male.

Questa sobrietà, questa radicale spoliazione è condizione indispensabile perché il vangelo si annidi nei cuori e nelle case.

Solo così si TOGLIERÀ TERRENO al demonio (“cacciare i demoni”) e Dio regnerà su quanti sono disposti  a ricominciare a vivere di nuovo… Lode a Dio!

 

Nemo propheta in patria - XIV Domenica 4 luglio ‘21

Gesù non viene accettato nella sua patria, perché i suoi compaesani non accettano che la potenza di Dio si manifesti in modo così debole, attraverso un uomo normale che essi credono di conoscere troppo bene. Invece, Dio propone la salvezza con uno stile tutto suo e non secondo le nostre aspettative o parametri puramente umani di successo di straordinarietà, che fanno impressione ma non suscitano la fede. La sua potenza di salvezza batte vie umili e feriali e la risposta dell'uomo non si deve basare su seduzioni e prove eclatanti ma sulla personale, libera e fiduciosa adesione a Dio, alla sua parola e alle sue promesse.

Gesù non aveva ancora annunciato l’evangelo a Nazaret, sua città. Come allora, la fede di tanta gente si “intoppa” proprio davanti al carattere consueto e familiare di Gesù, che resta sorpreso e disarmato di fronte a tanto scetticismo, nei suoi confronti, tanto che lì non poté fare miracoli... a causa della loro incredulità!

Normalmente, Dio sceglie altre persone, tra noi, e non degli angeli per parlarci. Egli non si serve di gentefuori dal comune, ma di persone qualsiasi e di eventi feriali e imprevedibili. I suoi messaggeri non sempre anche le ali che noi ci aspettiamo. L'ospite, il vicino, l'ammalato, lo straniero, il nostro prossimo insomma, possono essere un momento di grazia, se il nostro cuore è aperto e disponibile e non attaccato a fasulle personali raffigurazioni del Cristo, per accoglierlo così come lui a noi si propone.

Gesù, da questo momento, non metterà più piede nella sua sinagoga, simbolo di ogni cuore umano: Egli bussa alla porta di ognuno, ma non entra se non siamo noi ad aprirgli, se noi non lo vogliamo.

Abbazia Santa Maria di Pulsano

 

Nelle difficoltà della vita

Il Vangelo di oggi ci invita a riflettere sul senso della fede in mezzo alle difficoltà della vita e agli sconvolgimenti della storia.

La pagina di Marco non va letta in modo troppo semplicistico e troppo rassicurante. Del tipo: «Se il Signore è con noi andrà tutto bene». Non ci è detto di dormire sonni tranquilli, insomma!

La fede non è un riparo facile, una garanzia contro gli infortuni, essa ci immerge nel cuore della storia e anche delle tempeste.

Maestro, non ti importa che moriamo?”

Gesù si sveglia e immediatamente placa il vento e il mare con un ordine perentorio e subito ritorna una grande bonaccia.

Immediato è anche il rimprovero rivolto ai suoi discepoli: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40). Detto in altri termini, non avete ancora capito chi sono e che di me potete fidarvi? non avete ancora capito che in mia compagnia non dovete temere nulla?

Noi diciamo di avere fede in Dio, ma in realtà in troppe cose riponiamo fiducia più nei soldi, nella scienza, nelle leggi, nelle nostre capacità che non in Lui.

Nemmeno la Chiesa è immune da preoccupazioni troppo umane e da paure.

Questa è mancanza di fede, incapacità di capire che la nostra piena realizzazione è nel progetto di Dio, e che, molto spesso le sue vie e i suoi pensieri non sono i nostri mentre per raggiungere quest’altra sponda dobbiamo, inevitabilmente, attraversare delle tempeste. Se in noi vince la paura vuol dire che non abbiamo ancora realizzato una fede matura. 

Se abbiamo fede ci rendiamo conto che la tempesta c’è, ma c’è anche Lui che ha il potere di placarla, - se necessario, anche con interventi miracolosi - ma comunque aiutandoci e difendendoci dalle tempeste della vita. Chiediamo il dono di una fede autentica, capace di avere il sopravvento sulla paura. La fede autentica è dunque quella che non cede alla tentazione di dire a Dio: «non t’importa nulla di noi che stiamo affondando?”.

Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore.

Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita.

Allora ho detto: «Signore io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?»

E lui mi ha risposto: «Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio».

   

XI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Mc 4,26-34

Il Seminatore e le due brevi parabole di oggi accendono qualche luce, sul mistero del Regno di Dio.

  • La prima dice che il Regno “è come l’uomo che getta il seme e come esso si sviluppi nemmeno lui lo sa!” (Mc 4,27). Perché il seme ha dentro un codice attivo che porta avanti la sua crescita, il suo sviluppo e le tappe successive fino alla mietitura. Si tratta di una crescita spontanea, di tappa in tappa: stelo, spiga e chicco pieno nella spiga... Insomma il terreno accoglie e poi il seme si sprigiona.
  • La seconda parabola parla del seme di senape, il più piccolo dei semi della terra, da cui nasce e si sviluppa una pianta grande, con rami tanto folti che gli uccelli del cielo vengono a rifugiarsi tra i suoi rami. C’è tantissima sproporzione tra la pianta finita e il seme piccolo come un granello di sabbia, da cui ha tratto vita.  Praticamente il Regno dei cieli, realtà apparentemente piccola e insignificante, ha in sé una potenza grande.

Che bello pensare che il terreno del nostro cuore, ricevendo il seme di Dio, si aggiorna e sviluppa – per dir così - al ritmo della Parola che ha accolto.

Se a volte siamo tentati dall’impazienza, (tipica reazione di chi non ha fede, cf Es 32), si finisce prigionieri della fretta, di super attivismo, di voglia di strafare, di essere noi i protagonisti, ma tutto ciò nuoce alla vera crescita della Parola in noi che, così, non offriamo più rifugio a nessuno. Questi atteggiamenti umani sono l’ostacolo principale alla crescita del seme che ha i suoi tempi, che non sono i nostri, i quali mirano soprattutto al presto e subito…a risultati immediati dove contano solo i numeri…

Cristo ci ricorda e ci insegna che il seme è molto piccolo ma diventerà una pianta alta nell’orto. La parabola non vuol dire che la pianta finale sarà una cosa “impressionante” per grandezza o bellezza, tanto splendida da attirare lo sguardo, ma solo che esiste una grande sproporzione tra l’incipit e il risultato finale.

“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). Il germogliare si può intravvedere, percepire e sperare nel silenzio e nell’ascolto, non pressando né misurandolo!

 

CORPUS DOMINI

Durante l’ultima cena Gesù istituisce l’eucarestia, il suo memoriale.

Tutta la vita di Gesù è stata un dono e l’annuncio che Dio è vicino ed ama ogni uomo. 

Nell’ultima cena, attraverso i segni del pane e del vino, Gesù riassume il senso di tutta la sua vita e ne anticipa l’epilogo: una vita totalmente donata, fino al sacrifico supremo di sé in croce.

Le parole di Gesù, «fate questo in memoria di me», sono insieme un comando e una promessa: ogni volta che voi farete questo in memoria di me io vi prometto che sarò in mezzo a voi e voi sarete in comunione con me. 

Chi si nutre dell’eucarestia entra in comunione vitale con Gesù e si impegna a vivere di lui, per lui, come lui: provare a dare se stessi, la propria vita, come ha fatto lui.

La particolarità del memoriale eucaristico consiste nel fatto che la persona ricordata si rende realmente presente nel segno del pane e del vino

Il Signore ci offre, nell’eucarestia, il buon pane per l’impegnativo e difficile cammino della vita. L’eucarestia, per essere degnamente celebrata – esige la disponibilità ad offrire se stessi a servizio della costruzione del regno di Dio, esige come risposta l’offerta di tutta la nostra vita.

Per un compito così impegnativo non si può fare a meno delle energie spirituali che scaturiscono solo dal pane eucaristico. L’eucarestia è il pane per tutti e a tutti dà la forza di lottare e vincere contro il male. Come recita la sequenza in modo inequivocabile:

 

Vanno i buoni, vanno gli empi,
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
 

Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l’esito!

   

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