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Battesimo del Signore

«Tu sei il figlio mio, l’amato»!
Is 40,1-5.9-11: Tit 2,11-14; 3,4-7: Lc 3,15-16.21-22:
«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22). Nel Battesimo di Gesù, la voce di Dio Padre svela, per un attimo soltanto, il Mistero di Colui che Egli a inviato a noi e che viene proclamato: Figlio mio, l’amato. Questo Figlio, al Battesimo ricevuto al Giordano decide che è arrivato il momento di manifestarsi per quello che è: Uno di noi, che di noi è venuto a prendersi cura e a farsi liberamente “carico” della nostra vita, fino alla prova suprema: “nessuno ha amore più grande di colui che dà la vita per gli amici”!
Il Mistero di Dio, iniziato a Natale, che si manifesta pur nascondendosi in un Bimbo, oggi viene ulteriormente approfondito. Gesù, mettendosi in fila per ricevere il battesimo da Giovanni, non fa un gesto di valore esteriore, ma rivela la sua realtà profonda e ci manifesta la sua irrevocabile intenzione. È l'Agnello di Dio che eliminerà ciò da cui ogni uomo cerca invano di liberarsi, il male che ci assedia da ogni parte.
Gesù, presso le acque del Giordano, inizia a stracciare quel documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli (cfr. Col 2, 14), quel documento di cui Paolo dirà: «Egli lo ha tolto di mezzo, inchiodandolo alla Croce» (Col 2,14). Cristo liberamente ci fa dono di quanto mai avrebbe potuto appartenerci: farsi uno di noi per farci come Lui. Siamo figli di Dio anche noi, in Lui per grazia siamo divenuti partecipi della vita divina e non per meriti personali, così che il Padre può ora dire a ciascuno di noi: «Tu sei il figlio mio, l’amato»!

 

C’ è un motivo per rallegrarsi!

«Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». (Sofonia 3,14-18)

Queste brevi parole di un “piccolo” profeta danno l’intonazione alla liturgia di questa Domenica, che è un invito alla Gioia perché il Signore è vicino: per la celebrazione del prossimo Natale e soprattutto per quanto può accadere ogni giorno nella nostra vita di credenti in Gesù.

Gioia (vv. 14-15) e consolazione (vv. 16-18) hanno un comune fondamento: la presenza di Dio, che si mostra amore, non giudice contro di noi. Il profeta annuncia: «Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico» (v. 75), Egli sta in mezzo al suo popolo, c’è una comunione ritrovata; l'alleanza ha ripreso a palpitare.
Qui sta la fonte della gioia di cui risuona una eco nell'annuncio dell’Angelo a Maria: «rallegrati» e non un povero ciao, salve, o ti saluto …(cf. Lc 1,28)
Non è azzardato dire che, per l’incredulità odierna così diffusa, anche oggi Dio sospende il giudizio di condanna contro il suo popolo traditore, per salvarlo in forza del suo amore immutato per noi.
Anche se il presente risulta molto difficile, chi ripone la propria fiducia nella potenza di Dio salvatore non deve temere nulla. Di più, può contare sull'amore di Dio che rinnova e invita alla festa (cf. v. 18). Perciò, come Paolo, anch’io vi dico: “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla …
(Filippesi 4,4..).     

Questa gioia ha tre aspetti:
una radice interiore, ed è il Signore: si tratta di gioia in Lui («rallegratevi nel Signore»), per distinguerla nettamente da cose simili che hanno però un contenuto diverso
un'espressione esterna: è gioia manifestata, riversata sugli altri con la «affabilità».
Infine, ha una causa ben precisa, l'avvicinarsi o la presenza del Signore. Il contenuto della gioia cristiana è la presenza di Cristo, che garantisce una condizione di benessere per sé e per gli altri. Egli fa da deterrente contro ogni nostro eccesso di ansia , di paura o di preoccupazioni.

 

IO SONO RE!

Con questa domenica si chiude l'anno liturgico e la Chiesa ci fa vedere nella figura di Cristo re e Signore della storia la conclusione delle vicende umane: Gesù trionfa sul male e instaura il regno dell'amore. Domenica prossima la Liturgia inviterà i credenti ad iniziare l’Avvento, un nuovo tempo di preghiera, di veglia e di memorie sante.

Un tempo nel quale non siamo noi o le nostre vicende a decidere scadenze e a segnare i ritmi e impegni, ma saremo invitati, pur fra tanti problemi e preoccupazioni, a lasciarci guidare dalla fede.

Da Natale a Pasqua sino a Pentecoste siamo chiamati a stare accanto a Gesù che viene, che cresce, predica e guarisce percorrendo strade e piazze della sua terra, che soffre e muore sulla croce, che poi risorge, ascende al cielo e manda lo Spirito Santo sulla Chiesa.

E i suoi discepoli, in questo scorrere del tempo, sono coinvolti nel grande progetto di arrivare agli estremi confini della terra per dire e testimoniare il suo Vangelo.

Se gli «anni liturgici» continuano a ripetersi, è perché non termina mai la nostra condizione di discepoli del Signore. Abbiamo sempre bisogno di riascoltare la Parola di Dio e di seguire Gesù perché cresciamo con lui «in sapienza, in età e in grazia».

Quest'ultima domenica dell'anno liturgico ci propone la festa di Cristo, re dell'universo, festa della Sua signoria sul mondo, sul creato, sugli uomini, sulla storia. È la festa in cui contempliamo Cristo nella pienezza della sua regalità su tutti e su tutto!

Che regalità è la sua? Davanti a Pilato Gesù proclama: «io sono re!» e aggiunge subito: “il mio regno non è di questo mondo». Ma che razza di re è costui? La sua regalità non trae origine dal mondo, non poggia sul consenso della gente, ma viene dall'alto, scende da Dio. Gesù afferma che è venuto nel mondo per «rendere testimonianza alla verità, chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce!». La verità di cui Gesù parla non sono principi logici, astratti o idee belle da contemplare.

La verità è una storia, quella di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16-17).

È vera regalità quella di Gesù, anche se davvero strana. Il suo potere è la forza dell'amore, la sua forza è la mitezza. Così Egli governa i cuori degli uomini e la loro storia. L'amore appare debole agli occhi degli uomini, ma è forte agli occhi di Dio. La vera grandezza, la vera regalità, il vero potere, stanno nel lasciarsi conquistare dalla «verità» di Dio, che è il suo sconfinato amore per gli uomini sino a dare la vita per loro. Di questo amore ha bisogno il mondo.

 

 

   

La Fine del mondo e il Fine della storia

Daniele ci parla di «tempo di angoscia» come preludio alla vittoria di Dio: infatti sarà salvato chiunque «si troverà scritto nel libro». Questa immagine ci rasserena non poco: ognuno di noi è in questo “libro” di Dio, cioè nel suo progetto buono, destinato a realizzarsi compiutamente.

Può sembrare che il momento della persecuzione dia ragione ai più forti e alle potenze del male e ponga fine a tutto ciò in cui ciascuno di noi ha sempre creduto.
Ma non è così, perché – dice Gesù - “quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino”. Sì, il Regno di Dio è «vicino» ad ogni generazione che si succede. Questo Regno/Presenza di Dio fra noi non viene secondo il naturale sviluppo delle cose.

Quando questo accadrà porterà con sé un cambiamento radicale sia nella vita degli uomini che nella stessa creazione.
La Scrittura non avalla la «teoria della catastrofe», secondo cui solo alla fine Dio volgerà al bene ogni cosa. No, Dio non arriva alla fine, quando tutto è finito o perduto, perché Egli ama la creazione e non la rinnega perché è uscita buona dalle sue mani (cfr. Gn 1).

Essa esorta piuttosto ad attendere e operare in vista di un nuovo cielo e una nuova terra. E se sconvolgimento ci sarà esso è finalizzato alla città santa, la nuova Casa ove tutti i popoli della terra saranno radunati come in un'unica grande famiglia.

Dice l’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). La «fine del mondo» per dir così, avviene ogni giorno quando noi spazziamo via dalla terra e dal nostro cuore un piccolo o grande pezzo di quel mondo cattivo e malvagio esistente, che non Dio ma gli uomini costruiscono giorno per giorno.

Questo è il fine della storia. C'è quindi una fatica quotidiana richiesta ad ogni credente in vista della città santa che Gesù è venuto ad iniziare, e che, per essere compiuta necèssita, da parte nostra, di vigilanza, di attenzione e di lotta continua. Con la nostra perseveranza salveremo le vostre vite: noi siamo consapevoli e certi che «il cielo e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno».

 

L’amore a Dio e al prossimo: una leggenda irlandese

Domenica 4 novembre: Vangelo di Marco 12,28-34

L'amore a Dio e al prossimo: una leggenda irlandese
In Irlanda una volta c'era un re che non aveva figli maschi e decise di bandire un concorso in tutte le città del regno per scegliere - come possibile successore al trono - un giovane che avesse questi due requisiti: capace di amare Dio e amare gli altri.
Un suddito amava veramente Dio e gli altri ma, essendo molto povero, non possedeva abiti adeguati per comparire davanti al re. Perciò cominciò a mendicare e a chiedere qualche piccolo prestito ad amici e familiari e finalmente si mise in viaggio alla volta del castello. Lungo la strada, proprio nei pressi del maniero, incontrò un mendicante, rivestito di stracci che implorava aiuto così: «Ho fame e ho freddo. Mi aiuti?»
Il giovane fu così commosso dal bisogno del povero che si privò immediatamente dei suoi abiti, cambiandoli con quelli del mendicante. Gli diede anche le sue provviste. Poi, riprese il cammino. Appena arrivato al castello fu fatto entrare senza tante domande e, finalmente, fu alla presenza del re. Davanti al sovrano fu colmo di stupore nell'alzare gli occhi e nel riconoscere in quel re il mendicante che aveva aiutato poco prima. Il giovane disse al Re: «ma... voi siete il mendicante che ho incontrato vicino al castello!».
«Sì», rispose il re, «ero proprio io». «Perché avete fatto questo?», chiese il giovane. «Perché volevo scoprire se tu amavi veramente Dio e gli altri esseri umani. Se mi fossi presentato a te come re, mi avresti onorato e obbedito ed io non avrei mai saputo com'è realmente il tuo cuore. Così, invece, ho scoperto che tu ami realmente Dio e gli altri.
Perciò tu sarai il mio successore. Tu avrai il mio regno!»

   

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