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Siamo e saremo grandi!

“O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: che cosa è l'uomo perché te  ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di  gloria e di onore lo hai coronato” (Salmo 8)

L’uomo  è  creato  grande  da  Dio  ed  è  il  suo  principale  collaboratore:  può  elevarsi  ad  altissime  conoscenze ma, senza il dono Spirito, non può giungere alla verità tutta intera. Fuori dalla Fede ci  sono germi di verità, come semplici riflessi del Sole che è Cristo e a Lui orientati.  

La sapienza umana e la scienza possiedono molti aspetti positivi, ma non sono libere dall’errore o  dall’illusione: coloro che hanno rigettato la Parola del Signore quale sapienza possono avere? (cfr  Ger 8,9).  

Il Signore si lascia trovare invece da coloro che non ricusano di credere in Lui (cfr Sap 1,2) e si  rivela di solito ai piccoli e non agli “intellettuali”: “Ti ringrazio, o Padre che hai rivelato queste  cose ai piccoli!”  

Sapienza  e  conoscenza  vere  derivano  dall’incontro  con  Cristo,  trovato  il  quale  vale  la  pena  sacrificare ogni altra cosa, perfino gli affetti più sacri, come avviene nella vita dei santi. 

Gesù chiede di mettere la sua sequela prima di ogni altra nostra cosa, pur “sacra”: senza tentativi  buonisti - per favorire la sua sequela da parte delle masse - di addolcire le esigenze della chiamata.  Avere  sèguito,  visibilità  non  sono  proprio  i  suoi  pallini  o  i  principali  investimenti  della  sua  predicazione. Si legge da qualche parte che, da allora “molti suoi discepoli si tirarono indietro e  non andavano più con lui. E Gesù disse ai dodici: Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 66-67)   Il Signore ama raggiungerci nella vita reale, nelle relazioni più care, non per squalificarle, ma per  “sublimarle”  cioè  innalzarle  a  dignità  superiore.  Una  realtà  pur  bella,  alla  luce  del  sole,  brilla  ancora di più. 

Questa esigenza di Cristo è bene espressa da S Teresa di Lisieux la quale insegnava che l’amore  non vive che di sacrifici. E quale amore non ricorre al linguaggio del sacrificio?   Il sacrificio è la prova e l’espressione del nostro vero amore. Amen  

 

Il Vangelo di Marta e di Maria

Diretto a Gerusalemme, «Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa» (Luca 10,38). Più tardi, alla fine del medesimo viaggio Gesù sarà ospite del pubblicano Zaccheo (19,1-10).

Nella BIBBIA l'ospitalità è uno dei doveri più espressivi della fraternità umana e cristiana.

Con molta chiarezza possiamo dire che né Marta è la figura dell'amore per il prossimo, né Maria è la figura dell'amore per il Signore. Nel nostro passo non c'è alcuna traccia di contrapposizione tra il Signore e il prossimo. Entrambe le sorelle sono di fronte al medesimo ospite, Gesù, che al tempo stesso, per esse, è il Signore e il prossimo. Infatti, non ci sono due modi di ospitare e amare, ma uno solo, che si tratti del Signore o del prossimo. L'Evangelista in questo episodio insegna e mostra il modo in cui si deve accogliere e servire il Signore, ed accogliere e servire il prossimo.

Altrettanto possiamo dire che come non c'è tensione tra il Signore e il prossimo, così pure non c’è tra l'ascolto e il servizio, tra preghiera e azione, tra vita attiva e vita contemplativa.

C’è tensione piuttosto tra l'ascolto amorevole e un servizio che distrae, tra ciò che è essenziale e quello che non lo è, tra lo stare con l'ospite e quasi il trascurare la sua persona per il troppo da fare, cosa che impedisce a Marta di farei compagnia a colui che lei stessa chiama "maestro". Gesù la rimprovera perché ella si lascia tanto prendere dalle faccende di casa che ha la testa altrove, è «affannata» e «agitata»: non è più attenta a Gesù anche se dice che sta lavorando per Lui.

È tanto il suo affaccendarsi per l'ospite che non ha tempo per intrattenerlo. Cosa che capita anche a noi quando le eccessive preoccupazioni riguardanti il cibo, il vestito e il domani (Lc 12,22-32), ci portano ad affannarci allo stesso modo. fosse anche per Dio o per il prossimo. Aglio occhi di Gesù affannarsi è l'atteggiamento da pagani, non da discepoli.

Il troppo alla fine è sempre a scapito dell'essenziale. Le troppe cose impediscono non soltanto l'ascolto, ma anche il servizio come Dio comanda e vuole. L'ospitalità ha bisogno di compagnia, non soltanto di cose. Fare molto non è sempre segno di amore, anzi può far morire l'amore.

Il Vangelo presenta Gesù come predicatore di strada e tante volte parla di Lui come ospite in una casa: (qui, da Marta e Maria, altrove da Zaccheo e da Levi o nella casa di Simone il fariseo). Molto spesso la Scrittura parla e raccomanda accoglienza e ospitalità.

«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato... Chi avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo... non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,40-42). «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37).

Il verbo privilegiato per esprimere l'accoglienza contiene anche il significato di  “ascoltare, capire le parole dell'ospite, i suoi desideri e i suoi bisogni”. Dice pure gentilezza, amicizia e stima verso l'ospite.

Nelle lettere degli Apostoli numerosi sono gli inviti a essere ospitali. Ospitalità è attenzione, accoglienza, aiuto e sollecitudine per i fratelli, anche stranieri (3Gv5). Il dovere di essere ospitali rientra nei doveri cristiani comuni, dal vescovo (1Tm 3,2) alla vedova (1Tm 5,10). Ma voglio concludere con l'affermazione di Gesù più ricca e paradossale: «Ero forestiero e mi avete accolto» (Mt 25,35).

Al tempo di Gesù FORESTIERO:

  • poteva essere lo sconosciuto di passaggio, che chiedeva ospitalità per una notte ed era spontaneo giudicarlo con diffidenza perché non si sapeva chi fosse e che abitudini e intenzioni avesse.
  • più frequentemente era l'immigrato, che cerca lavoro e migliori condizioni di vita.

Anche l'ospitalità al forestiero per Gesù è espressa da un verbo che contiene il concetto di raccogliere cose sparse. Di qui il senso di accogliere chi è sperduto, ospitarlo in casa, unirlo al gruppo, offrirgli accoglienza. Anche il forestiero rientra nel numero dei suoi «piccoli fratelli»: sarà forestiero per noi, ma non per lui. Si comprende così che l'ospitalità è più ampia del semplice "aiutino" perché significa aprirsi alla persona e non soltanto ai suoi bisogni. Significa aprire la casa, il cuore e non soltanto dare una monetina o un panino. E c'è di più: il forestiero da ospitare è nel contempo il prossimo da trattare come se stessi e il Signore da servire con tutto il cuore.

 

Chi si volge indietro non è degno del Vangelo (Luca 9,51-62)

Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Per strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose:  «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove  posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa  mia».  Ma  Gesù  gli  rispose:  «Nessuno  che  mette  mano  all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»

 

Gesù all'inizio del suo ministero era stato respinto dai nazareni (Luca 4,16ss), ora è respinto da un villaggio di Samaritani… e nemmeno i suoi discepoli sono in sintonia con Lui.

Gesù prende la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e un villaggio samaritano Gli nega l'ospitalità. Giacomo e Giovanni reagiscono per questo affronto, sono pieni di furore: vogliono far piovere fuoco dal cielo su chi si oppone a Gesù e alla sua comunità. Ma Gesù non è d'accordo con questo atteggiamento e rimprovera i discepoli che, evidentemente, non ricordano più che Lui non è venuto a condannare o perdere le vite ma a salvarle. Chiarito ciò, Luca parla della sequela di Gesù e di come essere in sintonia con lui, seguendo il maestro incondizionatamente sulla via della croce. Gesù forma i discepoli dicendo loro anzitutto la verità.  

  • A un tale che si offre di seguirlo ricorda che non è possibile costruirsi un nido, una dimora fissa dove porre i propri beni: «il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo » (v. 58).
  • A un secondo Gesù propone: «Seguimi» (v. 59), ma gli ricorda subito che le esigenze del  Regno  sono  urgenti,  non  ammettono  dilazioni,  neppure  di  fronte  a  doveri  sacrosanti. Gesù ha bisogno ora di operai, non quando i genitori sono già morti.
  • Un terzo infine si offre, come il primo, spontaneamente a Gesù, ma pone una condizione:  prima vuole salutare i parenti come Eliseo (1Re 19,19-21). Gli viene risposto che l'urgenza del Regno non ammette dilazioni, ripensamenti o lentezze.  Nessuno che mette mano all’aratro... (v. 62): Il discepolo è colui che non guarda mai indietro, né per rimpiangere quanto ha lasciato, né per compiacersi di quanto ha fatto. Sarà come Paolo «dimentico del passato e proteso verso il futuro» (Fil 3,13).  

Gesù stesso fa così: «prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (9,51). E’ necessaria una decisione anteriore e interiore che prepara alla disponibilità  di ciò che viene dopo. Questa decisione è tanto necessaria e radicale che nemmeno le difficoltà o i fallimenti possono sovvertirla. Viene invece richiesto un 'supplemento' di libertà (cfr. Gal 5,13). Solo lo Spirito può realizzare le nostre aspettative oltre i nostri stessi desideri, sia che si tratti di

  • rinunciare a una qualche 'comodità',  
  • saper dare un ordine nuovo alle priorità della vita  
  • saper portare la solitudine e reggere alla durata di un impegno definitivo,

Si tratta di affidarsi con totalità allo Spirito e giocarsi con quella ferma determinazione che  il Signore stesso ci domanda e ci testimonia.  

 

   

XI Domenica, 16 giugno 2013

È veramente un messaggio di gioia e di liberazione quello che ci offre la Parola di  Dio in questa domenica di metà giugno: la gioia di sentirsi liberati dal peccato che ci  opprime, forse ci tormenta, certamente ci tarpa le nostre energie. Vorremmo volare  verso  l’alto,  desideriamo  il  bene  e  facciamo  quello  che  non  vogliamo!  Siamo  schiacciati verso terra e questo ci reca enorme tristezza. 

Oggi la Chiesa ci propone la possibilità di celebrare la misericordia di Dio, presente  in ogni angolo del mondo e alla portata di ogni uomo quando, confessando il proprio  peccato, si riconosce peccatore. 

In  questo  riconoscersi  piccoli  e  bisognosi  si  accelera  e  favorisce  l’incontro  tra  l’amore di Dio e il grido dell’uomo che invoca perdono! 

In  tutto  questo,    il  grande  Davide  rifulge  come  limpido  esempio.  Quel  David  che  aveva organizzato la morte di Uria per prenderne la moglie Betsabea, impersona gli  atteggiamenti  tanto  diffusi  nella  nostra  società:  tradimenti,  menzogne,  violenze,  sotterfugi di ogni genere. 

Eppure Davide è il re secondo il cuore di Dio: Ci siamo mai chiesti il perché. Egli è  peccatore miserabile ma anche santo e gradito a Dio, perché ogni volta sa uscire dalla  situazione di peccato mediante l’umiltà e la fiducia in Lui. 

Per  queste  due  virtù  Davide  sfugge  alla  morsa  del  peccato  e  riesce  a  rialzarsi  e  liberarsi  dalle  passioni  che  lo  sconvolgono,  per  ritornare  a  Dio,  a  cui  sa  affidarsi  completamente. 

Anche il brano evangelico – nell’episodio della pubblica peccatrice  -  riafferma la  gioia del perdono e dimostra quale sia la forza creatrice di un gesto di perdono che  solo Dio può concedere. 

Il racconto evangelico della peccatrice evidenzia un gesto di amore  coraggioso a cui  risponde un grande atto di misericordia, da parte di Gesù. La peccatrice sa di essere  oggetto di pubblico disprezzo, ma non ha paura di affrontare la gente ed entrare nella  casa del fariseo per incontrare Gesù. 

Un comportamento possibile solo a chi crede smisuratamente, come quella donna!  Una  fede  che  ha  acceso  nel  suo  cuore  uno  slancio  irrefrenabile  di  amore,  di  devozione e di gioia. A quella donna è dato di scoprire che tutti coloro che veramente  si  pentono  possono  trovare  in  Gesù  perdono  dei  peccati  e  vita  completamente  rinnovata dall’amore. Tutto ciò è frutto della fede. 

Simone  il  fariseo  che  si  riteneva  giusto,  aveva  invitato  Gesù  a  casa  sua,  ma  il  suo  amore non andava al di là del semplice rispetto, o forse galateo. 

Gesù  con    quelle  poche  parole,  invece,  precisa  la  nuova  situazione  che  si  viene  a  creare  nel  credente  per  mezzo  della  fede  in  Cristo.  In  Lui  Dio  ci  offre  il  condono  totale  dei  nostri  peccati.  Ecco  la  novità  inaudita  della  storia  umana:  siamo  tutti  peccatori e l’unica strada per la salvezza è quella della fede, che induce al pentimento  e produce amore.  

 

Il Credo

   

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