IV DOMENICA DI PASQUA: Il bel Pastore e la Porta delle Pecore

Chi sono gli interlocutori di Gesù, a cui Egli rivolge parole così severe?

Quelli venuti prima di lui che sono ladri e briganti, non sono certo né Mosé, né Davide né i profeti o i grandi uomini dell’A.T., ma tutti coloro che sono chiusi alla sua parola e pretendono di essere guide di altri. Si noti che un po’ prima il vangelo di Giovanni parla dei farisei che hanno cacciato fuori dalla sinagoga il cieco guarito. Qui sono i dirigenti del suo tempo ad essere definiti ladri e briganti. Terribile!

Questi, nella loro arroganza, non ammettono di aver bisogno di luce, perché ritengono di essere in grado di vedere.

A costoro il Signore si rivolge con la similitudine del buon pastore, dei ladri e dei briganti. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù si è rivelato finora come luce, come sposo, come cibo, come acqua, come riposo, come colui che offre una casa. Ora ricorre all’immagine del pastore, che dà la vita in abbondanza per le proprie pecore.

Sono così presentati due tipi di pastori:

  • uno, ladro, che non entra dalla porta del recinto, che viene per rubare e porta solo rovina.
  • l’altro, il bel pastore entra attraverso la porta e viene per dare vita, per condurre le pecore a pascoli ubertosi e ad acque fresche.

Fuori di metafora: Gesù, pastore vero e bello, pone fine (fa uscire le sue pecore dal recinto, simbolo di chiusura e sicurezza, non di vita e libertà) all’esperienza religiosa dei giudei che - agli occhi suoi - non conduceva alla vita vera, né lo poteva. Il pastore vero invece viene a condurre fuori le sue pecore e, fattele uscire dall’ovile, le conduce di persona e le precede per proteggerle, indicare loro la via, avviarle al pascolo buono, e verso acque fresche (cfr. Sal 22). Il pastore chiama ciascuna pecora per nome perché le conosce tutte in profondità. Qui sta la forza che attrae alla sequela di Gesù. Come non ricordare Is 43,1: «Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni».

È scritto che il Pastore le spinge fuori: la cura del pastore verso le sue pecore è vigorosa ed energica per liberarle da qualcosa di chiuso, che tiene schiavi. Gesù infatti è venuto a liberare l’uomo da ogni forma di vita obsoleta, compreso quel relazionarsi con Dio, basato fondamentalmente su precetti, obblighi e divieti, e non sul suo amore che sempre ci precede.

Gesù si autodefinisce anche «la porta» così come è il pane, la luce, la resurrezione e la Via, la Verità e la Vita. Non una porta di servizio, secondaria, ma l’Unica Porta, che esclude altri «ingressi» e modalità per entrare nella vita.

È la Porta delle Pecore: (così era detta una delle porte di Gerusalemme anche se oggi è detta dei Leoni o di S. Stefano), è cioè la Porta di accesso al Tempio di Sion, per incontrare Dio in spirito e verità. Insomma, con Gesù le Pecore sono sorprendentemente libere di entrare e libere di uscire, libere di muoversi, proprio come si legge in Giovanni: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (8,31-32).